L’inclusività è diventata il mantra della moda contemporanea, e nulla lo dimostra meglio dell’evoluzione dell’Adaptive Fashion. Parliamo di abiti progettati per essere indossati da chiunque, ma pensati specificamente per rispondere alle esigenze di persone con disabilità, temporanee o permanenti. È un cambiamento profondo, una rivoluzione stilistica ed etica, che sta spingendo il mercato a livelli mai visti. Secondo Coresight Research, il settore dell’abbigliamento adattivo raggiungerà la cifra di 350 miliardi di dollari entro la fine dell’anno.
Ma se vi sembra una tendenza “nuova”, vi sorprenderà scoprire che ha radici molto più profonde.
La storia dell’Adaptive Fashion ha inizio negli Stati Uniti, in un contesto davvero unico: i reduci di guerra. Questi eroi, tornati a casa con nuove disabilità, avevano bisogno di abiti funzionali, e così iniziò l’era degli adattamenti. Prima di questo, molti erano costretti a creare soluzioni autonome, un vero e proprio “fai da te”. Ma con il tempo, l’industria ha riconosciuto queste esigenze, spingendo verso una moda che riflette non solo la bellezza, ma anche la funzionalità per tutti i corpi.
Come afferma l’esperta Elisa Fulco, “l’adaptive fashion è una moda pensata per tutti i corpi, e riflette un passaggio cruciale verso il concetto di stile come diritto umano”. Ed è proprio così: lo stile non dovrebbe avere barriere.
Quando si parla di moda inclusiva, non possiamo non menzionare Alexander McQueen, uno dei pionieri che ha sfidato le norme tradizionali di bellezza. Nel 1997, McQueen ha collaborato con il celebre fotografo Nick Knight, immortalando immagini audaci e rivoluzionarie, come quella di Devon Aoki in abiti che sfidavano il realismo.
Ma il suo momento più iconico fu nel 1998 con “Fashion Able?”, un editoriale di “Dazed and Confused” che vedeva protagonisti il ballerino disabile David Toole e l’atleta paralimpica Aimee Mullins. McQueen ha dimostrato al mondo che la moda è, e può essere, uno spazio per tutti.
Oggi, la moda inclusiva ha visto grandi passi avanti. Gucci ha scelto Ellie Goldstein, modella con sindrome di Down, come volto della sua campagna nel 2020. Il movimento The Valuable 500, guidato da Caroline Casey, sta spingendo i grandi marchi come Prada ad abbracciare l’inclusività come una vera missione, non solo un trend di marketing.
Ma uno dei pionieri del cambiamento è Tommy Hilfiger con la sua linea Tommy Adaptive, lanciata nel 2017. Hilfiger ha collaborato con enti come Open Style Lab e la Parsons School of Design per creare abiti che rispondono alle reali esigenze delle persone con disabilità. Non è solo una questione di stile, ma di libertà: libertà di sentirsi a proprio agio e ben rappresentati nel mondo.
Un manifesto rivoluzionario, intitolato “Tu es canon. Pour une manifeste de la mode inclusive”, firmato da Elisa Fulco e Teresa Maranzano, mette in luce l’importanza di coinvolgere le persone con disabilità nel processo creativo. La co-progettazione è la chiave: ascoltare chi indosserà quei capi, capirne le esigenze e dare vita a una moda che non sia solo per tutti, ma fatta con tutti.
Questa visione si allinea perfettamente al movimento Design For All, nato negli anni ’90. L’obiettivo? Creare design universali, accessibili e funzionali a chiunque, dalle interfacce digitali agli abiti di alta moda.
Nonostante i progressi, la strada è ancora lunga. La rappresentazione delle persone con disabilità è ancora limitata, e in molti casi l’inclusività sembra più uno slogan di marketing che una vera missione. Ma ci sono segnali incoraggianti: sotto la guida di Sinéad Burke, Vogue British ha dedicato una copertina a cinque donne con disabilità, pubblicando anche un’edizione in braille. Un piccolo grande passo verso una reale inclusione.
Il cambiamento non avviene solo in passerella, ma in ogni fase: progettazione, produzione e distribuzione. La moda del futuro sarà davvero inclusiva quando ogni persona, indipendentemente dalle proprie capacità, potrà sentirsi rappresentata e a proprio agio in ciò che indossa.
Il viaggio è appena iniziato, e la moda ha dimostrato di poter essere un potente strumento di inclusione. Il futuro è più luminoso e più variegato. Ed è un futuro in cui tutti vogliamo fare parte.
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